15 dicembre 2020
Presentazione della ‘Madonna con Bambino’
di Pietro De Simone per il cinquecentenario della scomparsa di Raffaello Sanzio
In occasione del cinquecentenario della scomparsa di Raffaello Sanzio, la Galleria Nazionale della Puglia presenta una nuova acquisizione frutto della generosa donazione Devanna.
L’opera Madonna con Bambino di Pietro De Simone (Lecce 1845-1920), firmata e datata al 1886, rappresenta un ottimo esempio di come le invenzioni di Raffaello abbiano continuato a generare ispirazione per gli artisti anche a secoli di distanza dalla loro prima apparizione nel Cinquecento.
Il modello alla base di questa opera del De Simone è infatti la Madonna Mackintosh del Sanzio, eseguita attorno al 1509-1511 ed oggi conservata presso la National Gallery di Londra. L’artista leccese però nell’elaborare la propria composizione non guarda direttamente all’originale raffaellesco, ma ad una sua traduzione a stampa ottocentesca. De Simone infatti replica l’incisione che Marco Zignani trasse dall’originale, allora nella collezione del Duca d’Orléans a Parigi, nel 1827 e che fu dedicata a Raffaello Morghen, professore di intaglio in rame presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze e noto per aver contribuito a diffondere la conoscenza degli affreschi raffaelleschi delle Stanze Vaticane attraverso una fortunata serie di stampe a propria firma.
Raffaello aveva scelto di porre al centro del dipinto la Madonna con il Bambino, disponendoli secondo uno schema triangolare di estrema chiarezza compositiva. Il senso di protezione derivante dall’intimità del legame tra Madre e Figlio era espresso attraverso il moto circolare dei gesti del reciproco abbraccio, nonché dal sottile velo che avvolgeva con tenera premura entrambe le loro figure.
De Simone ha chiaramente fatto tesoro di queste componenti originarie, ma, da uomo del suo tempo, ha anche aderito all’interpretazione più spiccatamente devozionale conferita dallo Zignani nella sua stampa, soprattutto per quanto concerne il panno che copre le nudità del piccolo Gesù. L’artista leccese si è invece riservato la libertà della scelta cromatica degli abiti e dell’inserimento degli alberelli nello sfondo paesistico, sempre però rispettando gli stilemi cari al Sanzio.
L’aspetto forse più interessante che caratterizza questa opera di De Simone, ottocentesco omaggio a Raffaello, risiede anche nella scelta della tecnica di esecuzione. De Simone opta per la pittura a tempera su pergamena, vivificando in tal modo la tradizione della miniatura. Questo interesse è giustificato, oltre che dall’iniziale formazione calligrafica nell’ambiente devoto del Collegio dei Gesuiti di Lecce, anche dallo studio che De Simone dedicò alle decorazioni miniate dei codici custoditi nelle biblioteche romane, in particolar modo presso la Biblioteca Vaticana.
Forte di questa sua attenzione al mondo dell’ornato, De Simone sceglie di racchiudere l’immagine neoraffaellesca centrale in una cornice che possa essere iconograficamente e tecnicamente coerente con il sapore cinquecentesco che l’artista leccese andava recuperando.
Per raggiungere questo scopo seleziona alcune decorazioni con motivi vegetali e a candelabra su fondo oro che sembrano richiamare proprio quei codici miniati e quei libri liturgici elaborati tra il finire del Quattrocento e gli inizi del nuovo secolo in area centro italiana per le corti umanistiche e per i conventi. Come non pensare alla biblioteca di Federico da Montefeltro, proveniente proprio dalla stessa patria di Raffaello e confluita appunto nella Biblioteca Vaticana? I motivi delle linee intrecciate a nodo su fondo oro potrebbero essere stati ispirati proprio da quei volumi, mentre la disposizione dei girali vegetali nella specchiatura in basso riecheggia l’ornato di certi libri liturgici olivetani di area umbra. Il tocco devozionale anche qui fa capolino nella disseminazione di monogrammi mariani e croci all’interno di una decorazione che altrimenti potrebbe essere totalmente aderente ai motivi all’antica del Rinascimento.
Non sappiamo se De Simone si sia limitato a dare prova del proprio talento solo da miniatore o se abbia anche curato la scelta della cornice lignea che racchiude il dipinto. Dalle fonti a lui contemporanee conosciamo solo che in altre occasioni aveva prestato attenzione alla cornice delle proprie pitture su pergamena.
In ogni caso la cornice sembra essere in linea, sia per tecnica che per iconografia, con la volontà del Nostro di ricreare un prodotto artistico coerente con lo spirito rinascimentale. Il motivo geometrico selezionato richiama le tarsie lignee presenti sui mobili tosco-umbri del Quattrocento riprese e sublimate dalla bottega del fiorentino Giuliano da Maiano in alcuni dettagli dei pannelli degli studioli umanistici del Montefeltro. Anche la combinazione cromatica delle essenze lignee, così come la tecnica “a toppo” (che prevede l’assemblaggio di diverse bacchette lignee al fine di creare un motivo decorativo replicabile semplicemente sezionando ripetutamente il fascio così ottenuto) rientrano consapevolmente negli scopi sopra rammentati.
Il risultato quindi è un’opera che omaggia Raffaello e i suoi tempi non solo dal punto di vista dell’immagine, ma anche del recupero delle tecniche in voga nel primo Rinascimento in area centro italiana. De Simone sceglie con piena maturità critica questo percorso, e probabilmente sarà stato consapevole di far parte di un più vasto movimento del nostro Ottocento nazionale postunitario che perseguiva il revival delle forme e delle tecniche, anche delle cosiddette arti applicate, del Rinascimento.
Cenni biografici su Pietro De Simone (Lecce 1845-1920)
Dopo una prima formazione presso il Collegio dei Gesuiti a Lecce dove apprende le tecniche del disegno, della calligrafia e della miniatura su avorio, Pietro De Simone si sposta a Napoli nel 1867 e successivamente a Roma dove frequenta la bottega dello scultore Tadolini e ha modo di approfondire lo studio dei codici e delle pergamene della Biblioteca Casanatense e Vaticana. Già negli anni Settanta si ricordano sue pitture su pergamena di soggetto sacro, mentre a partire dagli anni Novanta minia le palme donate annualmente al Pontefice da parte delle Monache camaldolesi di Sant’Antonio sull’Aventino. Si susseguono viaggi in Europa e incarichi di insegnamento anche presso privati, fino a quando nel 1903 rientra stabilmente a Lecce e si dedica maggiormente alla pittura sacra di grande formato (Lecce, Sant’Antonio a Fulgenzio; Lecce, cappella dell’Istituto Marcelline).
Per approfondire:
- C. Farese Sperken, La pittura dell’Ottocento in Puglia, Adda editore, Bari 2015, p. 89 e p. 201
- A. Foscarini, Arte e artisti di Terra d’Otranto, tra medioevo ed età moderna. Lecce, Bibl. prov. N. Bernardini, sez. mss. ms. n. 329, edizione a cura di P. A. Vetrugno, Edizioni del Grifo, Lecce 2000, pp. 96-97